Kep, Cambogia. 2012.
La città fu battezzata “Kep sur mer” dai francesi negli anni Venti e divenne, fino agli anni Sessanta, una località turistica per l’elite francese e cambogiana.
C’è stato un tempo in cui Kep era conosciuta come la Saint Tropez dell’Estremo Oriente.
La sabbia bianca che ricopriva le spiagge, per sostituire quella marrone e meno bella autoctona, fu trasportata da Sihanoukville, lussuose ville moderniste e art nouveau davano dimora alla ricca borghesia in villeggiatura.
Nel 1953 l’indipendenza dalla Francia e dopo i Khmer Rouge e la guerra civile, cambiarono pagina.
Oggi la sabbia bianca è solo un ricordo e Kep è una città sonnolenta che sta lentamente scoprendo un timido eco-turismo, dove queste affascinanti strutture lottano con la natura per non scomparire.
Un confronto tra giungla e cemento che porta immediatamente l’immaginazione all’orgoglio archeologico della Cambogia: Angkor Wat.
Oggi ci sono oltre 100 scheletri di ville, tra fantasmi del passato e la speculazione attuale, è ancora possibile percepire il periodo opulento degli anni d’oro della piccola Kep.
Un patrimonio in rovina che, ad eccezione di pochi casi, è destinato a scomparire schiacciati dal “shiny, colossal and new” (luccicante, gigante e nuovo).